FATE entra nella “grande famiglia” di UNIAMO F.I.M.R.

 

 

 

Un bel regalo di Natale a tutti i soci e alle famiglie sostenitrici della nostra Associazione…siamo ufficialmente affiliati a UNIAMO!

Il consiglio direttivo della Federazione Italiana Malattie Rare nell’ultimo incontro ha deliberato con parere favorevole riguardo alla nostra richiesta di affiliazione. Con questo grande passo in avanti si rafforza ulteriormente un rapporto di stima e collaborazione consolidatosi nel Primo Incontro Nazionale di FATE a Santa Severa con la Federazione; l’affiliazione sarà inoltre molto importante per la nostra crescita, e per dare un rinnovato vigore alla nostra voce.

Il logo dell'affiliazione

Ringraziamo il consiglio direttivo di UNIAMO, a partire dal presidente Nicola Spinelli Casacchia e dai consiglieri Michele Del Zotti, Pietro Marinelli, Tommasina Iorno, Antonella Cimaglia, Elisabetta Gecchele e Rosanna Balducci.

Cogliendo l’occasione di questa comunicazione

FATE augura a tutte le famiglie, ai sostenitori e soprattutto ai nostri piccoli e valorosi “combattenti” di trascorrere un felice Natale

A presto

 

Foto e relazioni dal Primo Incontro Nazionale F.AT.E. a Santa Severa, 26 e 27 settembre 2015

 

Un grazie a Franco per le splendide immagini e a tutti i relatori per la disponibilità al confronto.

Al prossimo incontro!

Federica

Ciao mi chiamo Federica e ho 18 anni e mezzo.
Sono nata l’11 Novembre del 1996.
Alla 32 settimana mia mamma ha scoperto che ero affetta da una patologia al tempo rara ATRESIA ESOFAGEA.
al 1 giorno dalla nascita e’ stata confermata la patologia (fistola tracheo-esofagea).
In 5 giornata di vita ho subito un intervento di gastrostomia.
I medici della Mangiagalli ai miei genitori dicevano giorno per giorno per i primi 9 mesi(passati tra l ‘altro in patologia neonatale) che non avrei passato la notte invece eccomi qua dopo vari interventi .. l’ultimo eseguito nell’ Ottobre 2012 durato 9 ore a raccontare una piccola parte della mia storia condividendola con adulti e sopratutto mi piacerebbe mettermi in contatto con miei coetanei.
Vorrei poter concludere questo commento dando la forza ai neo-genitori o che devono diventarlo di bambini affetti da questa patologia che e’ una grossa battaglia del grano, i primi anni di crescita sono molto duri in quanto piu’ si cresce e di conseguenza gli interventi e i rimedi stati fatti perdono la loro funzione ed e’ possibile dover affrontare una nuova operazione.
Ma sentendo i racconti di mia mamma vedere crescere il proprio figlio/a e giorno dopo giorno nonostante alti e bassi osservarlo nel mangiare e non continuare a rimettere e’ davvero una GRANDE GIOIA.
Nascere con questi problemi di salute e lottare sin dal primo giorno di vita per uscirne crescendo ci rende persone sotto certi aspetti molto sicure di se stesse, forti e con la voglia di voler vivere la vita al meglio affrontando e volendo superare qualsiasi ostacolo che si incontra…
Perche’ la battaglia piu’ grande per noi e per un genitore e’ vedere uscire il proprio figlio dopo mesi di ospedale e portarlo a casa uniziando una vita assieme… Una nuova vita.

Crescere un figlio “raro”: l'esperienza di una mamma

 

Pubblicato su AIMAR News n.2, Maggio 2015 – Anno XXI

Il 22 Novembre scorso sono stata invitata dalla dottoressa Iacobelli a parlare durante un incontro sulle Malformazioni Ano-Rettali (MAR) organizzato dalla Chirurgia Neonatale dell’Opspedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma e dall’Associazione Italiana Malformazioni Ano-Rettali. Sono la mamma di una bambina nata nel 2009 con varie patologie malformative riconducibili all’associazione VACTER, tra cui, appunto, una MAR.

Pensando a cosa fosse utile raccontare per stimolare la conversazione tra medici e famiglie, ho ripercorso la nostra storia degli ultimi cinque anni e ho cercato di far emergere le lezioni più importanti che abbiamo imparato fin qui, affinché aiutassero a mettere in luce gli aspetti più difficili da cogliere per che non vive la nostra quotidianità.

Tutto un altro film: la prima grande difficoltà che ci siamo trovati ad affrontare è stata di dover riconsiderare “il film” che ci eravamo fatti della gravidanza e dell’arrivo del nostro primo figlio. Già dai primi mesi, alle parole e immagini dolci che accompagnano l’attesa: pappe, pannolini, vestitini… si sono sostituite mille paure, dubbi, ricerche, domande, per chiarire le difficoltà che cominciavano ad emergere. All’immagine rosa e azzurra che ci eravamo dipinti, se ne è sostituita una molto più triste, angosciante, fitta di parole fino a pochi giorni prima del tutto sconosciute e in quel momento cariche di significati oscuri.bimbo rosa

Bambini “work in progress”. Di fronte a tante domande e diagnosi poco rassicuranti abbiamo, con tanto dolore, imparato la prima lezione: in casi come i nostri, di patologie malformative complesse, non ci si può aspettare di avere da subito, in gravidanza o alla nascita, una diagnosi definitiva e completa. Sembra un’assurdità in un’epoca in cui dalla scienza, dalla medicina in particolare, ci si aspettano, direi quasi si pretendono, risposte univoche e infallibili.

 

bimbo marrone

E invece abbiamo scoperto che in molti dei nostri casi la diagnosi, ma più in generale il quadro complessivo delle condizioni di salute dei nostri figli, è un “work in progress” e un “puzzle”.

Per avere un quadro più chiaro di come si svolgerà “il film della crescita” e di come “andrà a finire”, bisogna mettere insieme molte valutazioni e aspettare del tempo.

Un esempio, che oggi nella nostra famiglia è diventato quasi una barzelletta, è quello del “rene fantasma”. In gravidanza si vedevano due reni, o meglio non si notava nessuna assenza, ma uno era malformato. Nell’ospedale dove è nata la bambina il rene era uno solo, in quello dove è stata operata, prima ce ne era uno solo, poi, forse, ce ne era un secondo, ma tanto piccolo da essere quasi invisibile, forse riassorbito (un organo si può riassorbire? Pare di sì).

Al primo controllo del pediatra, uno “di fama”, eccolo che rispunta!

Andando avanti nel tempo, dalle ecografie di controllo di questo rene non si sa più niente, evaporato, o forse solo timido. Ci mettiamo l’anima in pace, e ci teniamo il monorene, ché abbiamo tante altre cose a cui pensare. Qualche anno dopo, andando a investigare l’addome e la pelvi con risonanza magnetica e altre ecografie molto approfondite per capire altre problematiche…tac! rispunta fuori il “renuncolo”…“Ma dottore non lo chiami così, poverino, è l’unico rene che abbiamo!” dico io, “No signora, guardi che questo è quello di destra”, “Come di destra, dottore? A destra non c’è il rene”… “Mamma hai visto che hai sbagliato, io lo sapevo che c’era anche il rene piccolo!”.

Tre mesi dopo, altra ecografia per altri problemi, altro ecografista…”signora il monorene è a posto”, “no guardi non è mono, ce n’è un altro, anche se piccolino”, “mah, io proprio non lo vedo, forse è coperto”…referto: rene destro non in sede.

Questo limite della medicina nel diagnosticare e categorizzare, ci si è svelato definitivamente, quando uno dei nostri chirurghi, certamente non il più incline a mettere in dubbio le sue diagnosi, con un inatteso guizzo di umiltà, dopo aver smentito la diagnosi di assenza dell’utero che aveva fatto un anno prima, ci confessò che alcune volte non si riesce a dare un quadro anatomico preciso neanche dopo aver “aperto la pancia”, perché gli organi si presentano in forme talmente diverse e anomale che è difficile farli rientrare nelle categorie conosciute.  In quel momento mi è tornato in mente qualcosa che avevo studiato anni fa, cioè che la nostra mente non vede quello che non capisce o che non si aspetta di vedere. La famosa storia dei nativi americani che non avrebbero proprio visto le caravelle di Colombo all’orizzonte perché non rientravano nel perimetro di ciò che conoscevano e ritenevano possibile.

Ma senza scomodare la psicologia cognitiva, abbiamo imparato a forza di angosce, proiezioni catastrofiche e smentite, che la formazione degli organi, dal feto al bambino, e la definizione della loro funzionalità, è un continuum, non un punto preciso, definito una volta per tutte.

Voglio precisare che i medici che ci hanno fornito queste diagnosi, e continuano a seguirci, fanno parte di un centro di eccellenza, nazionale e internazionale. Le loro diagnosi le abbiamo vagliate, incrociate, confrontate con altri esperti in Italia e in giro per il mondo. Il percorso a dir poco tortuoso di queste diagnosi non è risultato anomalo ad altri esperti con cui ci siamo confrontati, fa parte della storia di questi bambini.

Abbiamo faticosamente accettato che la condizione fisica di nostra figlia, alla nascita e anche nei primi anni, potesse essere descritta solo fino ad un certo punto, e che dovremo convivere con un margine di incertezza, abbastanza ampio, su come crescerà e che qualità della vita avrà. Ogni specialista potrà contribuire a mettere insieme una tessera del puzzle, a fare delle ipotesi su come si comporrà l’immagine finale, ma nessuno sarà in grado di darci una certezza definitiva.

E’ una lezione difficile, ma fondamentale.

Ci mette di fronte al fatto che la scienza, e i medici che per noi la interpretano, non ha tutte le risposte e non può toglierci tutte le paure.

Noi abbiamo imparato che la storia del corpo di nostra figlia e la qualità della sua e della nostra vita, per fortuna, non è stata scritta una volta per tutte. Si evolve, cresce e cambia con lei e con noi. E con i progressi della medicina, delle terapie, dei presìdi, delle persone che riusciamo a coinvolgere nella nostra rete.

Fino a pochi anni fa per questi bambini il film era molto più chiaro, e purtroppo, breve. I progressi della medicina hanno dato anche a loro la possibilità di scrivere una storia di vita, ma fanno molta fatica a dirci che vita sarà.

Questo percorso lo stiamo sperimentando, con tante difficoltà, anche con la MAR.  Alla domanda semplice semplice (almeno per chi si accosta a questo problema da neofita), “sarà continente?”, abbiamo ricevuto molte risposte diverse e, a volte, contraddittorie nel corso degli anni. Man mano che la bambina cresceva e si riusciva a capire meglio quale problema dipendesse dall’immaturità e quale dall’anatomia incompleta o anomala, il quadro è andato mutando e ancora non ha trovato una definizione finale.

E qui abbiamo capito la terza lezione: per noi genitori fissarsi, arrabbiarsi, incaponirsi, perfino avviare azioni legali, per una diagnosi che, ad un certo stadio della malattia o a una certa età, si rivela errata o incompleta, non per imperizia e incapacità, ma perché il quadro è in fieri e non tutte le tessere riescono ad essere messe insieme nello stesso momento, è una perdita di tempo ed energie.

Ci fa distogliere l’attenzione da ciò che veramente serve ai bambini: mettere insieme tutti gli elementi possibili, ragionare con tutti gli esperti e con tutti quelli che li osservano, pretendendo che si confrontino tra di loro e diano delle risposte coerenti e integrate, non tagliando i bambini “a fette”, una per specialità.

Questo è un lavoro molto complesso, che purtroppo nella maggioranza dei nostri casi devono fare i genitori. Nei sistemi che funzionano, lo dovrebbe fare il “case manager”, che poi dovrebbe interfacciarsi, o aiutarci a interfacciarci, con la società: scuola, asl, inps…

puzzle

 

E qui veniamo all’ultima lezione che abbiamo voluto condividere con i medici e le famiglie: i genitori devono fare, prima di tutto, i genitori. Sembra banale, ma è la lezione più difficile da capire e mettere in pratica.

La psicologa che ci ha seguito fin dalla gravidanza, ha dovuto ricordarci più volte che di medici, infermieri, psicologi, terapisti, nostra figlia, adesso e in futuro, ne potrà -e avrà diritto ad avere- tanti, mentre di mamma e papà ne ha, e ne avrà, sempre e solo due.

Se questi due, per supplire alle carenza del sistema, perché non si fidano di delegare a nessuno, o per qualsiasi altro motivo, si mettono a fare l’infermiere, il terapista, il para-medico, lo psicologo, l’assistente sociale, e tralasciano di “imparare” a fare questo mestiere speciale, nessuno potrà sostituirli e dare a quel bambino l’amore unico e irripetibile che solo loro possono trasmettergli.

Una lezione che noi stiamo ancora cercando di mettere in pratica. Per una “control-freak” come me, che di fronte alle difficoltà si mette la tutina da wonder-woman, niente doveva essere impossibile.

E quindi, via a infilare sondini in una minuscola narice, dilatare un microscopico ano con un attrezzo improbabile e introvabile, fare iniezioni su una coscetta in cui il grasso sottocutaneo è introvabile, pesare i microgrammi di medicinale in una bilancia da cucina dopo aver risolto l’equazione per trovare il dosaggio giusto da neonato…e la mamma? E le coccole? E se la mamma diventa quella che “fa male”, da chi mai ci si potrà rifugiare per cercare conforto?

multitasking

Purtroppo il lusso di fare solo la mamma e il papà noi genitori di bambini speciali non ce lo possiamo permettere, ma non dobbiamo dimenticarci, ogni volta che si può, di pretenderlo e di ricordare a noi stessi, ai medici, alle maestre, ai nonni, che veramente non si tratta di un lusso.

 

Che già far decentemente il papà e la mamma di questi “work in progress”, che ci riservano incognite e sorprese a non finire, è un impegno da supermen.

Per questo, in conclusione, a tutti i medici, gli infermieri, gli operatori socio-assistenziali, che si vogliono mettere in ascolto e dialogare con noi, chiediamo di fare questa strada, a tratti inedita anche per loro, davvero insieme, permettendoci di fare il più possibile “solo i genitori” e garantire ai nostri bambini la migliore qualità della vita possibile.

Cristina



Com'è la vita dei pazienti nati con AE? La prima indagine europea ci offre un quadro a luci e ombre

Molti giovani e adulti nati con Atresia dell’Esofago (EA di seguito) EA, soffrono di episodi  ricorrenti di reflusso, sono predisposti ad infezioni dell’apparato respiratorio e a  fastidiosi problemi  di alimentazione che alcune volte interferiscono con la loro vita lavorativa o personale. Fino ad ora, la maggior parte di loro pensava di essere un caso isolato e che tutto ciò fosse “normale”. Ebbene così non è, ed ora, grazie ai risultati della ricerca condotta dalla Federazione europea EAT, abbiamo i dati per dimostrarlo.

Le associazioni che compongono EAT hanno svolto nell’agosto 2014 un’esauriente indagine, condotta online, a livello mondiale, per raccogliere maggiori informazioni sui pazienti nati con AE, giovani e adulti, e sui loro prestatori primari di cure (genitori o tutori), per valutare le loro condizioni di vita e l’impatto delle cure mediche che hanno ricevuto.

Dato che questo studio è il primo di questo tipo, ci auguriamo che possa fornire una migliore conoscenza sugli interventi chirurgici, sulle procedure mediche e sui  trattamenti farmacologici prescritti, in breve, una panoramica completa delle cure per i pazienti  affetti da atresia esofagea – perché siano più  efficaci e servano a riflettere su ciò che è necessario riconsiderare per migliorare le condizioni di vita dei pazienti e delle loro famiglie.

Ecco i risultati della ricerca tradotti in italiano: Ricerca europea sulla qualità della vita di pazienti e famiglie con AE